“La legge di Lidia Poët” è la nuova serie italiana prodotta da Groenlandia, uscita su Netflix il 15 febbraio e racconta della rivoluzionaria avvocatessa, prima ancora che il questo termine avesse ragione di esistere. Matilda De Angelis, già protagonista di serie internazionali come “Leonardo”, “The Undoing” e prossimamente “Citadel”, impiega tutto il suo fascino e la sua faccia tosta per interpretare un ruolo che sfida continuamente le convenzioni dell’epoca e lo sguardo maschile, dando il volto ad una giovane donna che persegue il suo sogno di diventare avvocato. La serie reinterpreta un vero fatto storico, ovvero appunto il caso della prima donna italiana respinta e poi ammessa alla professione giudiziaria, a fine Ottocento, ma viene adattata in uno stile tra il noir e il rosa in modo da soddisfare la curiosità del pubblico locale, ma soprattutto internazionale. La parte storica è resa credibile dalla città di Torino, che in luoghi come piazza San Carlo o palazzo Carignano mantiene intatta il suo strato ottocentesco mentre l’atteggiamento determinato e inarrestabile del personaggio così come dell’attrice, conquista gli spettatori per tutti i sei episodi, riscuotendo parecchio successo.
Grazie anche a un cast giovane, ma di grande carisma tra cui, appunto, la De Angelis come protagonista affiancata dal giornalista Jacopo Barberis, interpretato da Edoardo Scarpetta dal volto sbruffone e sfuggente, e dal fratello Enrico Poët, Pier Luigi Pasino, costretto in qualche modo ad assecondare le ambizioni della sorella la storia prende una piega moderna e la serie si classifica tra quelle riuscite.
L’adattamento trasforma una storica avvocatessa in un’investigatrice che scagiona i clienti con il ritrovamento di nuove prove, ma non con la brillantezza delle deduzioni e dell’eloquio, rendendola così più una detective, stile di “Enola Holmes”, sempre targato Netflix e sviluppa gli episodi come il classico giallo con il caso della settimana. Talvolta è proprio questo aspetto a svelare la debolezza di una trama forse troppo semplice: le persone coinvolte sono poche, gli indizi sempre ritrovati miracolosamente, la risoluzione fin troppo ovvia e subitanea. La leggerezza delle varie trame però permette di concentrarsi su altre, come il rapporto tra Lidia e Jacopo caratterizzato da un’attrazione complicata tra goffaggini, incomprensione e precedenti relazioni reciproche, o anche sul passato della famiglia Poët, in particolare di suo padre, da cui emergono ulteriori misteri e traumi. Proprio in questo mix di suspence, romanticismo ed emancipazione “la legge di Lidia Poët” trova la ricetta perfetta per un intrattenimento leggero e godibile per tutti, grazie inoltre alla cura delle ricostruzioni sceniche, dei costumi dettagliatissimi, ma anche dalla recitazione non più didascalica che si è invece riscontrata in simili prodotti nostrani. Lidia Poët, come la sua interprete, non ha paura di sporcarsi le mani, di sfidare i pregiudizi e spesso di non prendersi eccessivamente sul serio.
Storie come quelle di Lidia Poët vanno raccontate per essere conosciute, per ricordare sempre che ogni piccola conquista nasce sempre da una piccola rivoluzione come in questo caso in cui la caparbietà di una donna che non si lascia sconfiggere dal sistema.